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Abroad: rock dal mondo

Madness Circus, rap metal vesuviano

Dopo gli Zero Lab Station, un'altra valida band sotto il vulcano che suona, canta, rappa, erutta energia. Recensione ep "Welcome to the Madness Circus".

di Giuseppe Piscino

Sant’Anastasia, provincia di Napoli, alle falde del Vesuvio. I musicisti che gradirebbero un nostro parere sul loro lavoro, arrivano da lì: e come faccio a non pensare a quella terra, così bella, piena di storie, così quotidianamente violentata. Come si fa a non pensare ad una stupenda canzone dei Zezi, “a’ Flober”, che racconta di una tragedia in una fabbrica abusiva di fuochi d’artificio, del posto, nel lontano-vicino 1975.

E così, incuriosito da questa connessione di eventi, vado a scrivere dei Madness Circus, gruppo formatosi due anni fa, inizialmente, come evidenziano nella loro presentazione, con il solo scopo di svago da dopo-lavoro/studio per il cantante “Lord Beast” (Salvatore Corselli), il bassista “Mr.Y” (Luca Muneretto), il chitarrista“BisHop”(Marco Bove) e il batterista“Crazy Ace” (Luigi Manzo).
Successivamente entra a far parte della band, il chitarrista solista “Fun Boy”(Marco Perrone).
Suonando suonando, i nostri arrivano al loro primo lavoro, un ep dal titolo “Welcome to the Madness Circus”.

Insomma un titolo per darci il benvenuto nel loro mondo, fatto principalmente di metallo, pesante o non, starà agli astanti deciderlo. Da ripetuti ascolti, convengo che suonare il cosiddetto “nu metal” o “rapcore” non è facile. E’ che le strutture melodiche dei pezzi girano sempre nella stessa direzione ed “inventare” qualcosa di originale e non banale, risulta ostico.
Quattro brani, un video ufficiale, un buon seguito di ascoltatori su youtube. Per iniziare non c’è male, andando a pescare nel vasto mare degli amanti del rock più estremo.

E già, perché se sono ancora tantissimi che seguono questo tipo di musica, è anche vero che, tecnicamente parlando, è un genere poco sperimentale, come dicevamo poche righe fa.
Bisogna sottolineare come i Madness Circus ce la mettano tutta per non deludere i loro fan e probabilmente ci riescono, ma per uscire dalla mischia bisognerebbe rischiare di più, e farlo all’inizio di un percorso aiuterebbe meglio a capire aspirazioni e progetti a lunga scadenza della band.
E così ci son tre pezzi stereotipati ed una canzone interessante, “Fall into your sky”, peccato che dopo i primi tre minuti cada nel solito vortice del già sentito.

Il genere ha conosciuto un’esplosione di vendite sul finire degli anni ’90 negli Usa. Con l’andare del tempo, i mostri sacri di quel periodo han perso mordente, originalità ed ispirazione.

Certo, augurerei di cuore, la centesima parte del successo di band come Korn, Limp Bizkit, Deftones, Incubus, tutti nomi che han venduto milioni di copie, ma che latitano, ora, dalla musica che conta.

Ecco, per uscire dal recinto del metal basterebbe voltarsi dalla parte dei System of a Down ed intuire che si può andare oltre ed offrire un metallo che prende forme e colori non stanchi ed usuali.

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