La musica underground sul tetto di Napoli. Report del concerto di Riccardo Veno


live report del concerto di Riccardo Veno & L'Orchestrea Neapolis. Venerdì 20 dicembre 2013 "Sul tetto di Neapolis"

di Vincenzo Mercenario Argenziano


Che fine ha fatto la musica underground?


Questo è il nome di un bel programma radio, condotto dal grande Ale Ricci, che i più attenti ricorderanno come frontman degli straordinari Senzalegge, ma è anche una domanda che spesso mi attanaglia.


Innanzitutto, bisogna chiarire cosa si intenda per musica undeground: personalmente ho sempre collegato questo termine ad una sensazione, un insieme di emozioni, vibrazioni e sensazioni, piuttosto che a considerazioni estetiche o di mercato.


Per me, adolescente di Torre del Greco negli anni '90, underground erano delle situazioni, difficile definirle diversamente.

Situazioni alimentate dalla musica, in cui un concerto in un posto piccolo, magari puzzolente, quasi sempre affollato, aveva un sapore di “vero”, “sincero”, “sentito”.

Chi suona è a pochi passi da te e puoi leggergli negli occhi cosa stia provando, la sua musica funge da “monolite”, una specie di forza metafisica che coinvolge tuti i presenti...è simile al rapporto che si può instaurare tra commilitioni in battaglia o sulle gradinate di una curva allo stadio, e le dimensioni “piccole” rafforzano il senso di coinvolgimento.


Che fine hanno fatto questo tipo di sensazioni/emozioni/situazioni?


Spesso, mio malgrado, mi trovo a constatare che sono decisamente rare: i locali chiudono, il pubblico langue, in definitiva la congiuntura socio-economica sembra raccontare che, decisamente, la musica live non va più di moda e quindi non è sostenibile come mercato, soprattutto su piccola scala.


Delle sacche di resistenza a Napoli ci sono: penso al Cellar Theory, che più underground di così sarebbe un tunnel borbonico, o ai ragazzacci della FalloDischi che, quando Alessio non è troppo impegnato ad alimentare dissing degni della peggior Detroit mentale, sono tra i più attivi nel proporre qualcosa di vibrante e squillante che non sia un telefonino, ma anche il commando EBM/Dark con Dj Ago come condottiero, il duo di avanspettacolo/avant gard Aldolà Chivalà, la straordinaria comunità di Casa Cuma o magari il terzetto Costanzo/Grieco/Giannini, alfieri partenopei del post-modern, riescono, in modi e modalità diversissime, ad ergere bastioni notevoli su cui le emozioni di cui sopra si arroccano e sopravvivono.


Nella stragrande maggioranza dei casi però, lo scenario è desolante.

Non è neanche un discorso di qualità musicale, perchè i gusti sono individuali, ma di freddezza: il feeling sembra sfumato, il pubblico in genere è noioso e annoiato, composto per la maggioranza da altri musicisti che spiano strumentazione e “contatti” di chi è sul palco, le fidanzate (adoranti o annoiate) di chi è sul palco egruppetti di persone che hanno lo sguardo intenso di triglie congelate almeno da 48 mesi e il grado di coinvolgimento emotivo di un ameba in coma diabetico.

Completano il quadretto idiallico i peggiori: piccoli, odiosi, plotoni di soldati digitali che, armati di smartphones e tablet, si dividono tra fotografare/riprendere il tutto, neanche fosse la resurrezione di Hendrix, e chattare su Facebook.


Nonostante questo scenario da Hiroshima emozionale, le sorprese sono dietro l'angolo, e quest'estate mi è arrivata una risposta totalmente inaspettata alla mia domanda iniziale: la musica underground, e le sue sensazioni uniche, magari non stanno sotto terra, ma parecchio più in alto, per la precisione su un tetto.


Centro storico di Napoli, zona Decumani, a trentaquattro anni mi sono ritrovato, con la mia baby, a fare come i bambini col pifferaio magico.

Per un quarto d'ora abbiamo cercato di capire da dove diamine venisse il suono, favoloso, di un sassofono che echeggiava nei vicoli finchè, cercando di seguirlo, non abbiamo attraversato un cancello aperto, un cortile ed un portone, salito un bel po' di scale, trovato l'ingresso di un hotel, chiesto delucidazioni ad un portiere di notte...sempre col naso all'insù e le orecchie puntate a non perdere quel flusso incantato di note.


Il portiere, gentilissimo, ci ha detto di proseguire ancora per un corridoio e salire: sempre ubbidendo al richiamo di quel sax, dopo l'ultima tesa di scale (siamo pur sempre a Napoli, e qui le rampe di scale si chiamano tese) si è svelato l'incanto.


Sul Tetto di Neapolis era il nome della location, e basta leggerlo letteralmente: è nient'altro che la terrazza dell'hotel Neapolis, esattamente nel cuore di Napoli, dalla quale lo sguardo si può perdere nel dedalo di vicoli in basso o nel labirinto dei tetti alla stessa altezza.

Pochi metri quadrati, circondati da qualche vaso+pianta e dal panorama, affollati da una trentina di persone incantate come noi dal pifferaio magico, che si è rivelato essere Riccardo Veno.


Definirlo semplicemente sassofonista è decisamente riduttivo: “Orchestra invisibile”, il nome dell'ensamble con cui si esibisce, chiarisce un po' meglio cosa combini questo artista, perchè la formazione è composta...dal solo Veno, che si destreggia con una serie di strumenti, principalmente fiati ma anche piccoli percussioni e oggettini sonanti.

Motore non immobile, grazie ad un paio di microfoni ed una loopstation riesce, ad ogni brano, a creare una vera e propria orchestra invisibile nella quale tutto trova posto, dalle onomatopee create con la voce agli arabeschi di sax, dando l'incredibile impressione di “far suonare” lo spazio che lo circonda, e riuscendo a rapire la mente di tutti i presenti.


Ecco, la musica underground forse non si trova più sotto terra, ma niente paura, ha trovato casa su un tetto: nessuna noia, nessuna foto+tag, solo uno scambio di emozioni.


Passato qualche mese, poco prima delle feste di Natale, non mi ha neanche stupito troppo ritrovare tutto questo in una location decisamente più “assurda”.


Complesso monumentale di San Domenico Maggiore, struttuta mastodontica che nei secoli ha ospitato religiosi, fiolosofi e studiosi, che attualmente è sede di una mostra impossibile.


Più di 120 opere di Leonardo, Caravaggio e Raffaello, il dream team dell'arte classica italiana ma, attenzione!, non si tratta degli originali, bensì di riproduzioni fedelissime realizzate con tecnologie eccezionali: l'operazione è controversa dal punto di vista filologico e sarà invisa alla maggioranza dei critici tradizionalisti, però c'è da dire che che è di sicuro impatto.


Ebbene, proprio in questa cornice così singolare la stessa organizzazione di Sui tetti di Neapolis ha pensato bene di portare un po' di (bella) musica, tra cui lo stesso Riccardo Veno: l'inserimento in questa location così straordinaria forse offusca un po' i suoi arabeschi sonori, perchè il pubblico è gioco forza ingessato nelle poltroncine e circondato da quadri (o stampe, ricorstruzioni....chiamateli come volete) già molto suggestivi di loro ed è più difficile perdersi nel rapporto tra note e ambiente, ma si tratta di semplici sfumature.



Vincenzo Mercenario Argenziano