L'anima rock di Suzanne Vega incanta il Black Cat

live report Suzanne Vega @ Black Cat, 1 novembre 2012

testo di Domenico Vastante e foto di Rodolfo Canzano

Incantevole. Questo è l’aggettivo giusto per indicare un’icona della musica folk qual è Suzanne Vega. Ammirare lo spettacolo musicale e culturale di tale personaggio ti consente di fare pace con la dea musica, in un momento in cui il panorama di tale genere non riesce a sfornare forze fresche e si impernia sempre su quegli artisti che del caro folk sono stati i paladini dagli anni ’70 in poi.

La sua voce soffice illumina il grande stanzone del Black Cat, locale che con un’insistenza proverbiale è riuscito a portare a Caserta un’autentica figura di successo di quel beneamato rock che, come visto giovedì scorso, riesce a catturare l’attenzione di tanti cultori. In trepida attesa per la sua esibizione, gli spettatori che hanno riempito all’inverosimile il locale di via Santa Chiara a Caserta hanno rotto il ghiaccio stuzzicando qualche prelibatezza della casa ed osservando l’opening act di Valerio Piccolo, un figlio della Campania Felix che lavora soprattutto negli Stati Uniti e che è tornato, esclusivamente, per fare da guida alla musa del folk nel luogo della sua origine. Un quarto d’ora di buona musica, il suo, che ha risvegliato gli animi e li ha preparati ad un’ora e tre quarti di pure emozioni.

Sono le 22.49 quando Suzanne Vega abbandona il camerino a lei riservato e sale sul palco. Il nero è il colore portante del suo abito, a cui fa pendant il cilindro che durante il concerto poserà sfrenate volte. L’artista di Santa Monica ripercorre molti dei suoi brani più famosi, partendo da quello che è stato il primo singolo della sua carriera, “Marlene On The Wall”, una canzone datata 1984 ed inserita nell’album di debutto omonimo del 1985 che ha sempre incuriosito molti sul possibile riferimento al Muro di Berlino, ma che invece riguarda un "more anonymous wall", il muro della sua camera da letto, dove lei teneva appesa una foto di Marlene Dietrich. Il ritmo fragoroso delle due ballate “When Heroes Go Down” e “Small Blue Thing” viene rallentato dalle odi d’amore di “Caramel”, un sentimento che non è sempre fortunato, come indicato in “Frank & Ava”, song che analizza il legame degli amanti Frank Sinatra ed Ava Gardner.

Il 1987 è l’anno di pubblicazione dell’album “Solitude”, un momento in cui l’artista cerca di ritrovarsi dopo qualche periodo buio e che contiene celebri pezzi del calibro di “Language” e “Gipsy”. Certi versi della sua vasta opera di scrittrice/cantante non possono essere dimenticati come l'affermazione finale di “Language” dove lei canta “Instead here we are in a silence more eloquent than any word could ever be” (traduzione: Invece qui siamo in un silenzio più eloquente che una qualsiasi parola potrà mai essere). Nella parte centrale dello spettacolo, Suzanne Vega inscena anche un bel duetto con Valerio Piccolo che traduce al pubblico le strane storie vissute in passato, divenute l’argomento di scrittura di “In Liverpool” e “Tombstone”, riferite al suo strano legame con un pittore dadaista (uno dei suoi primi ragazzi) ed al modo in cui una persona vorrebbe essere ricordata dopo la morte (tragico il racconto del comportamento di una sua amica che, colpita dalla morte improvvisa del gatto, lo ha lavato nella vasca con lo shampoo e poi lo ha sotterrato in una tomba in campagna).

Accompagnata dal chitarrista Gerry Leonard, la cantante americana non arresta un attimo il suo show e solca i mari delle sue melodie più famose. Da “Man Who Played God” a “Queen And The Soldier”, fino a “Maggie May”, i suoi testi sono poesia e catturano completamente l’attenzione della gente. Come si sa, nel finale sono previste le esibizioni delle canzoni più importanti di ogni artista ed infatti giungono una dopo l’altra “Luka” e “Tom’s Diner”, due dei brani più famosi del suo intero repertorio.

Molto toccante è il testo di “Luka”, che parla della violenza sui minori e termina con una frase che dice tutto, “Just don't ask me how I am” (trad. basta che non mi chiedi come sto). Incantati da cotanto splendore, il pubblico del Black Cat non crede ai propri occhi quando vede terminare il concerto, così a gran voce chiama il suo ritorno sul palco che avviene dopo qualche minuto. In seguito al break, la voce soave di Suzanne interpreta “Calypso”, “Crack In The Wall” e “Rosemary”: una chiusura in bellezza che impressiona totalmente il Black Cat per uno spettacolo che rimarrà negli annali della propria programmazione e che un giorno sfoglierà tra le pagine memorabili di un’anima rock che lascia ancora una volta il segno.