Il lungo report del Meeting del Mare 2012

Reportage Meeting del Mare 2012, il respiro

di Alfredo "Alph" Capuano

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Sedici edizioni, centinaia di gruppi emergenti, migliaia e migliaia di spettatori. Basterebbe un semplice incipit del genere per poter esprimere in sintesi ciò che è il Meeting del Mare, ma risulterebbe una semplificazione troppo azzardata, poco utile, senza dubbio incompleta. Ma è bene sempre tenerla presente, quando si considera ciò che il Meeting del Mare riesce a donare al pubblico dei concerti in Campania. Perché di “donare” si tratta, senza voler nulla in cambio se non l'attivazione consapevole dei propri cervelli, il non essere semplici spettatori passivi della vita. Un “prezzo” da pagare ben volentieri, dal momento che non sempre rappresenta, come dovrebbe, un automatismo, l'espressione di un istinto atavico di sopravvivenza della specie. E se questa edizione del Meeting del Mare è riuscita a scuotere anche un minimo le coscienze dei presenti, allora si può dire che tutto ha funzionato come avrebbe dovuto. Merito delle centinaia di volti del Meeting, che hanno lavorato dietro, sopra e sotto il palco, merito della quarantina di band emergenti che sono venute ad esibirsi, merito della guida di Don Gianni Citro. Un parroco alla direzione di un festival orientato verso il rock, in un paese in provincia di Salerno, che balla e canta il Padre Nostro de “Il Teatro degli Orrori” non è cosa di tutti i giorni, ma non è solo questo. “Meno male che non sono nato a Marina di Camerota, altrimenti sarei stato felice di essere un credente”, sussurra uno spettatore sottopalco, ed è difficile dargli torto, per quanto ci si sforzi. Tema dell'anno è stato il respiro, in tutte le sue sfaccettature. Respiro di vita, ultimo anelito prima della morte, affannoso, concreto, incalzante, respiro come sussurro, come espressione d'amore. A dare supporto agli interventi dal palco, le installazioni e le mostre fotografiche poste proprio all'ingresso della zona concerti, tra cui quella ad opera di Carlo Gentile (fotografo) ed Elvira Orlandi (modella e make-up artist). Una serie di scatti interessanti e ben curati che lasciano presagire l'inizio di un percorso artistico degno di nota.

 

Si inizia con la musica alle 18 in punto, senza alcun ritardo sulla tabella di marcia. Un sole caldo, che accompagnerà tutti e tre i giorni, e sul palco Mario Cosentino. Cantautorato un po' acerbo ma che nasconde un buon potenziale, ma comunque gradevole. Si passa subito agli Heart of Stone, caratterizzati da una discreta presenza scenica e che, nonostante la loro giovane età, sembrano muoversi già molto bene. Propongono un thrash metal non troppo innovativo, ma la combinazione di una voce interessante, bei cambi di tempo inaspettati e di una lead guitar sopra le righe, rendono il loro show molto positivo. Si continua con i Baga-style: l'intro di synth del primo brano carica di aspettative che, però, vengono deluse subito dopo. Dall'attacco della voce, molto poco gradevole, ci si rende conto che c'è qualcosa che non va e la loro proposta finisce in un vortice autoreferenziale, uguale a sé stesso. A poco vale il pulsante tempo in battere e le chiusure del synth: annoiano presto. La quarta esibizione della giornata è degli Hybrida che sembrano perfetti per accompagnare il sole che inizia a calare dietro i brulli altopiani di Marina di Camerota. Sembrano interessanti, si muovono piuttosto bene sul palco ma la linea vocale non appare troppo definita ed i numerosi falsetti rischiano di stancare se portati all'estremo. Ci pensa La bestia Carenne a risollevare di molto il livello, la prima bella sorpresa del festival. Sembra di assistere all'esibizione di un headliner anticipata al tardo pomeriggio: il loro mix di cantautorato, folk-rock e musica popolare del sud-Italia è davvero ben riuscito e la maestria con cui riescono a divincolarsi dagli innumerevoli cambi di strumenti (ognuno suona tutto!) è ammirevole, così come la profondità dei testi e la loro perizia tecnica. Davvero un bel gruppo che meriterebbe più tempo a disposizione e non solo una manciata di brani. Fanno divertire il pubblico e, finalmente, qualcuno inizia a ballare. Scrosci di applausi, più che meritati, e si passa a Martino Adriani, cantautore proiettato verso il folk. Testi molto ben strutturati, ma forse l'atmosfera non è quella giusta ed il pubblico non si scalda troppo. Un progetto interessante di sola voce e chitarra che, anche se non brilla troppo per gli arrangiamenti, risulta essere più che coinvolgente. Emilio Gallo, ennesimo cantautore del primo giorno, mantiene il livello alto con molte buone idee e degli ottimi testi che, nonostante l'accompagnamento di solo pianoforte, riescono a tenere molto alta l'attenzione. Il pubblico, che inizia a divenire più folto, se ne accorge e non manca di dimostrare il proprio apprezzamento. Si cambia registro con i Malacrjanza che propongono un buon reggae completamente in napoletano, provvisto di un accompagnamento di effetti e suoni molto ricercati e begli scambi tra le due voci. Molto distanti dal reggae più classico, riescono a colpire anche chi non è propriamente affezionato a questo genere musicale. Si ritorna, quantomeno sulla carta, al folk, con i Favonio, big band di 8 elementi che riescono a miscelare ottimamente generi più che svariati e molto lontani tra loro. Buona la voce ed ottima la tecnica generale, il loro wall of sound proviene da un'orchestra composta da percussioni, basso, batteria, tastiera, due fiati e voce e propone cantautorato “classico”, folk (come già detto) ma anche musica balcanica, popolare e addirittura tango. Decisamente una spanna sopra la media. Ottima esibizione anche per gli Spaghetti Roots, band napoletana capace anch'essa di stupire. Difficile identificarli precisamente in un genere in quanto, anche se il nome e la base delle loro sonorità suggeriscono una forte appartenenza al reggae, la loro chiave di lettura non è così semplice. Fatto sta che riescono ad offrire un ottimo spettacolo, riuscendo a coniugare una grande ed evidente attenzione alla linea delle percussioni con testi intelligenti ed una voce piacevole, supportata da un'ottima corista. Eclettici e preparati, sono forse tra i migliori di tutto il festival, olimpo in cui entrano a far parte anche i Sabba e gli incensurabili, undicesima band della giornata. Il loro hard rock sprizza professionalità da tutti i pori, sembrano essere nati per essere su un palco. Presenza scenica fenomenale, riff in overdrive che lasciano a bocca aperta e ci troviamo già su un altro piano, completamente diverso. La serata continua con i Yes daddy yes di cui si percepisce una buona preparazione probabilmente riversata per maggior parte nei loro lavori in studio, inoltre gli innesti di elettronica, tra synth e campioni, offrono una vasta gamma di suoni ma l'esibizione live lascia solo una sensazione di sovrapposizione caotica che forse, riascoltata in altri contesti, potrebbe assumere un significato ed un valore diverso. Sputacchiare un po' dovunque non basta per definirsi una rockstar, farlo in direzione di una delle due telecamere che hanno seguito l'intero festival ancora meno. Denota solo una scarsa considerazione per il lavoro degli altri e niente più. Altri due gruppi orientati verso il folk e la musica popolare, chiudono la lunga serie delle band d'apertura: i Dioniso Folk Band, prima, ed i Kalamu subito dopo. I primi sono ormai di casa al Meeting del Mare e se lo meritano. Offrono un folk ricco di contaminazioni più disparate, influenze da sud del mondo unite ad una eccellente perizia tecnica. Il pubblico apprezza, si diverte e risponde con piacere allo spettacolo proposto dalla band. I secondi, preparati allo stesso modo, si discostano un po' meno dalla musica popolare tradizionale ma, di certo, non sfigurano. Tra una pizzica di Santu Paolo ed un Malarazza, la loro esibizione sfugge in poco meno di una mezzoretta, lasciando il palco ai primi headliners di questa edizione: i Modena City Ramblers.

 

Quella dei Modena è stata una carriera lunga, costellata da momenti di difficoltà dopo l'abbandono del gruppo da parte di uno dei componenti più acclamati di sempre, lo storico Cisco. Allontanamento che, in passato, fece diminuire l'attenzione di una parte di fans ma che, a quanto pare, non ha influito affatto sulla qualità dello show. Impossibile stare fermi, sin dall'intro di Una perfecta excusa, con cui si apre il concerto, passando per Viva la vida, muera la muerte, Clan Banlieue, Veleno, fino alla sognante Ebano e Qualche splendido giorno. Il pubblico impazzisce letteralmente ed il parcheggio del porto di Marina di Camerota si trasforma in una soffice collinetta irlandese con La legge giusta, El presidente ed Il ballo di Aureliano. Lo show prosegue con uno che, forse, è tra i brani più interessanti di tutta la produzione ramblersiana: Il ritorno di Paddy Garcia e prosegue con le immancabili I cento passi ed, ovviamente, In un giorno di pioggia. Giusto il tempo di un rapido break e si ricomincia con Il bicchiere dell'addio, procedendo con Morte di un poeta ed una richiestissima, quanto superflua, Bella ciao. Non si sa se in maniera calcolata o meno, improvvisamente i tecnici staccano i cavi alla band durante l'esecuzione dell'ultimo brano in scaletta, A m'inceva un caz, ma poco importa: i Modena decidono di continuare a suonare, scendendo dal palco e, come una orchestra itinerante, continuano la loro esibizione camminando tra la folla. Il tempo dei saluti e si ritorna nelle proprie stanze, in attesa del secondo giorno.

Ancora sole e ancora caldo, anche per la seconda giornata di festival. Poche le persone che, dalle 18:00, resistono all'afa per gustarsi tutte le esibizioni. Ad aprire la seconda parte di questa edizione, sono i Guano Waves con un pop-rock senza troppo da dire. Buona l'esecuzione ed interessanti i cambi di tempo, ma è evidente la poca maturità e la pressoché totale mancanza di tendenza all'innovazione. Annoiano dopo un po'. D'altra pasta i Plato's Cave che si dimostrano preparati e simpatici sin da subito. Una voce molto interessante e ottimi testi ben curati, nulla è lasciato al caso, neanche la scelta dei suoni che si distinguono perfettamente gli uni dagli altri, in una struttura ben definita e supportata da un'imponente, ma mai invadente, cassa in battere. Solo la presenza scenica e la tenuta dal palco è ancora da limare ma presumibilmente sarà solo questione di tempo. Tra il pubblico qualcuno esclama “Sono colti!”, ed ha ragione. O quantomeno questa è l'impressione. Si continua con i Fiori di Cadillac, rock con innesti di electrowave, miscelati a feedback di chitarre distorte. Il tutto però si presenta poco leggibile e, soprattutto, poco vario. La voce non è affatto convincente, vanificando ulteriormente gran parte del lavoro, comunque non eccelso, che c'è alle spalle. Il cantante stona più volte durante l'esecuzione dei brani in scaletta, in un risultato complessivo di confusione non ricercata. Sembra, in sintesi, che quattro persone sconosciute si siano ritrovate a suonare per caso sullo stesso palco. Fortunatamente la loro esibizione dura poco, guadagnandosi comunque l'ingrata palma del gruppo peggiore di tutti e tre i giorni. La situazione non migliora di certo con l'entrata in scena dei Members of god. Aldilà della scelta di presentarsi come qualcosa ai margini del christian rock, proponendo addirittura una cover dei Nightwish, il cantante (con tanto di corona di spine ben posizionata sulla testa), aldilà di una voce passabile ed un supporto musicale discreto alle spalle, fa solo sperare che i 15 minuti a loro disposizione passino quanto più in fretta possibile, facendo rimpiangere, con estrema truculenza, addirittura le belle esibizioni di Frate Metallo. Cercare su Google per credere... Tocca ai Quasar Post Mortem, anch'essi non nuovi al palco del Meeting. La loro musica affonda le radici nel thrash metal con buoni componenti di death metal ed hard rock. Decisamente migliorati rispetto alle loro precedenti esibizioni, offrono un sound di buona fattura, non troppo innovativo ma comunque piacevole. Purtroppo, però, non risultano troppo indicati per l'orario e, tra lo sparuto pubblico di un assolato pomeriggio salernitano, solo pochi aficionados sembrano prestare attenzione. Risultano comunque molto preparati nel loro genere ed offrono uno show di tutto rispetto. Problemi tecnici per i Das Auge, sesto gruppo della giornata. La band propone un rock melodico ben arrangiato ed una buona tenuta di palco. Salutano spesso il pubblico, conversano con loro ed è un vero peccato che la loro esibizione sia stata interrotta da continui problemi tecnici. Il risultato è una esibizione a metà che, di sicuro, avrebbe avuto molto altro da dire. Si spera, magari, in una loro presenza per l'edizione del 2013. Si va avanti con i Grindhouse: rock poco vario caratterizzato da buoni cambi di tempo e poco altro, se non da una voce non proprio eccelsa ed una tenuta di palco ai limiti del passabile. Non convincono troppo ed, appunto, il pubblico risponde poco. Tocca ai Locomotiva, con un pop rock molto ben arrangiato e dei testi indiscutibilmente impegnati. La voce è decisamente interessante ed i cori azzeccati. L'innesto di un violoncello, inoltre, rende il tutto ancor più gradevole. Il livello si alza ancor di più con gli Abulico, band di Napoli che, ormai, può tranquillamente abbandonare lo status di “gruppo emergente”. Professionalissimi sul palco, nonostante i cambi di formazione che hanno caratterizzato la loro storia più o meno recente, riescono a coniugare una eccelsa qualità nell'esecuzione con una forte presenza scenica. Musica pensata che fa bene alla scena musicale (non solo locale), molte idee ben esposte e poche catene che si traducono in una delle migliori esibizioni di questa edizione del Meeting del Mare. Tocca ai Faunalia il compito di non far calare l'attenzione, riuscendoci in parte, con un hard rock caratterizzato da una bella linea di basso e da buone, seppur sporadiche, idee nella composizione. Si presentano un po' rigidini sul palco, ma il loro sound più che aggressivo, rende la loro esibizione molto godibile anche se, purtroppo, non riescono a catturare troppo l'attenzione dei presenti. Ancora un bel ritorno sul palco per i Droword, band hard rock con un sound pieno e possente, molto particolare e ben arrangiato. Una spiccata professionalità, una band “di mestiere” unita ad una sezione ritmica che può definirsi solo “devastante” ed un wall of sound di cemento armato che sposta i presenti di svariati centimetri ad ogni battuta di cassa. Subito dopo, sul palco, tocca ai D'istante. Becero pop elettronico senza nulla da dire ed una tenuta di palco da far cadere le braccia. Poche idee e voce troppo spesso in un fastidioso falsetto: durante il resto del tempo, invece, ci si dimentica che siano sul palco. Fortunatamente si cambia registro con i Keam che si dimostrano tosti sin da subito offrendo un bel crossover molto melodico, eseguito con tutti i crismi. Buona tenuta del palco ed una pulsante linea di basso che, in battere, si innesta perfettamente negli spazi degli altri suoni. Tecnicamente ineccepibili, si muovono molto e bene sul palco, dimostrando di essere completamente a proprio agio. Ultimo show prima dell'headliner, quello di Guido Maria Grillo. Belle intuizioni tra cantautorato classico e sonorità alla Muse, con un impostazione professionale e testi intelligenti, oltre che ad una gran voce. Veramente qualcosa di nuovo in un secondo giorno che, tranne che in alcune occasioni, non ha brillato più di tanto.

 

Dopo un po' di attesa, è il turno degli headliners, Il teatro degli orrori. Ovviamente la band di Capovilla&Co. non delude affatto le aspettative ed un pubblico più folto di quello del primo giorno, accoglie l'artista veneto con uno scroscio lunghissimo di applausi. Una bella scaletta di una ventina di brani circa, non molto dissimile da quella delle loro esibizioni precedenti, da Rivendico, all'immancabile Ion, da La canzone di Tom a Padre nostro senza ovviamente tralasciare l'eccezionale singolo del nuovo album, intitolato Io cerco te. In tracklist non sono state presenti, stranamente, A sangue freddo e Adrian, ma si tratta di una mancanza facilmente perdonabile, soprattutto dopo aver assistito ad un formidabile medley tra Compagna Teresa e E lei venne! che è riuscito a lasciare senza fiato le migliaia di persone presenti. Ancora momenti di estasi con Skopje, Gli Stati Uniti d'Africa, Monica e, forse uno dei momenti più alti dell'intero festival, Dimmi addio. Impossibile restare anche minimamente delusi dalla performance di quella che, al momento, è al vertice della classifica delle migliori band italiane, posizione che dimostra di meritare durante ogni live. Qualche ora di sonno e si è pronti per il terzo, ed ultimo, giorno di questa edizione.

Si parte davvero molto bene, con l'esibizione dei Bubbles. La band dimostra subito di essere molto valida, con un rock and roll con molte influenze da surf rock anni '60 alla The Chantay's. Presentano un bel singolo, intitolato Radio55 purtroppo di fronte ad un pubblico che, a quest'ora, definire sparuto sarebbe un eufemismo. Nonostante il gran caldo che durante il terzo giorno si è fatto sentire più che nei precedenti, è un piacere sudare ascoltandoli: una vera sorpresa. Il nome della seconda band della giornata è Emergenze. Portano sul palco un pop melodico senza elementi di novità alcuna, ripetitivo sin dal secondo riff. La voce è fuori tono in più occasioni e gli strumenti si confondono tra di loro, vanificando la discreta preparazione tecnica dei componenti della band.. Risultano noiosi sin da subito e la situazione non migliora con una cover di Impressioni di Settembre, massacrata senza pietà, in barba ai PFM e alla storia della musica in generale. Non si continua certo bene, con gli Amnèsia (importante non sbagliare l'accento...) che salgono sul palco seguiti da un finto finanziere in costume, il cantante dietro sbarre finte. Nonostante la messa in scena, il loro pop “cantautoriale” (virgolette d'obbligo!) di impronta Sanremese andrebbe benissimo solo per un talent show su qualche rete di consumo, ma poco ha a che fare con la musica live. Molto tecnici e preparati ma il tutto perde di importanza di fronte al risultato finale, piatto come pochi. Si procede con gli Orpheus, ancora pop ma molto ben curato e con interessanti scelte melodiche. Una buona voce, niente di rivoluzionario ma neanche banali, ed una buona tenuta di palco. Non verranno ricordati come il miglior gruppo di questa edizione, ma neanche come il peggiore, ed è già un punto a favore. Fortunatamente ci pensano gli A380 a riportare il festival sul binario giusto: hard rock di levatura internazionale ma cantato completamente in napoletano. Un sound fuori dalle righe, su un piano completamente diverso da quello della stragrande maggioranza degli altri gruppi: potrebbero essere tranquillamente un gruppo d'apertura degli headliners. Molto maturi, la loro proposta è strutturata particolarmente bene e attinge a piene mani dal panorama hard rock italiano degli anni '80 e '90, ma con influenze d'oltremanica e a stelle e strisce. Di sicuro tra le migliori scelte di questa edizione. Non brillano troppo gli Iron Heart, invece, con il loro hard rock ricco di venature heavy metal '80, penalizzati da una leggera mancanza di inventiva, risultando però gradevoli e passando via senza colpo ferire. Bisognerebbe, invece, approfondire la conoscenza dei Svart Mojo che propongono un interessante crossover con scratch dal vivo (tre sul palco: voce, cori e dj). Belle rime, flow decisamente all'altezza e testi più che passabili, nonché ottimi cori ed una buona tenuta di palco. L'ottavo gruppo della giornata sono i Peacebreakers, che si muovono tra classic rock e forti influenze punk melodiche. I ragazzi sono decisamente bravi e propongono un sound fresco e pulito ma, al tempo stesso, roccioso e senza troppe mezze misure. Buona la tecnica anche per la linea vocale, molto ben definita, che esplode soprattutto nel terzo brano in scaletta, intitolato Ready to go. Con il sole già ben oltre le colline che circondano il porto di Marina di Camerota, arriva il turno degli U_Led, band del napoletano, capitanata da Ettore Vivo. Presentano una versione molto personale di Malavida dei Manonegra, lo storico gruppo di Manu Chao, riuscendo bene a coniugare le atmosfere del brano con il dialetto napoletano. Iniziano lo spettacolo con una citazione sonora di elevata qualità (Sanghe e anema degli Almamegretta), e riprendendo una parte di Quelli che benpensano di Frankie Hi Nrg all'interno di Paura, secondo brano in scaletta. Molto interessanti. Si continua con i Dying Breath, più che in sintonia con il tema del Meeting di quest'anno. Portano sul palco un prog-metal ben composto ma molto nelle righe e con qualche incertezza nella voce. Tutto sommato però è evidente una buona impostazione generale ed una sezione ritmica che, seppur non sempre di altissimo livello, presenta inaspettatamente alcuni elementi di novità. Il pubblico però non sembra gradire troppo e non risponde spesso agli incitamenti dal palco. Terzultima band, prima degli headliners, sono i Tristema. Si presentano come band alt-rock ma, in realtà, di “alt” hanno poco e niente. La voce è piuttosto nasale e l'attenzione cala un po' subito dopo il primo brano, nonostante la loro ottima preparazione. Gli interventi dei Fuossera e di Paola Salurso, però, ravvivano non poco la situazione con due brani “corali” di alto livello. Un livello che scende vertiginosamente verso abissi angoscianti con l'esibizione de Le Strisce. Una voce straziante e dei testi ben oltre il limite accettabile del ridicolo (“So che sei giù/l'ho letto su Facebook” dal brano Londra) che, appunto, più volte non fanno altro che suscitare risa tra le prime file. Acclamati solo da un limitatissimo numero di fan sottopalco, non basterebbe un featuring con Brian May per poter rendere la loro esibizione vagamente positiva. Con una buona dose di concentrazione e self-control, si riesce ad arrivare fino alla fine, riprendendo coscienza di sé solo con l'esibizione (più che eccellente) dei Paranza Vibes. Ironici al punto giusto, anche loro non sono nuovi al palco del Meeting del Mare. Anche in alcune scorse edizioni a loro era toccato il piacevole compito di aprire l'headliner, compito che, anche in questa occasione, svolgono con maestria. Tra un Miss Padania ed un ritmo in levare, accompagnano il foltissimo pubblico verso l'esibizione di Alessandro Aleotti, in arte J Ax.

Accompagnato sul palco dal suo amico di sempre, Space One, ripercorre gran parte del suo repertorio post Articolo 31. Nulla da obiettare sulla qualità, né tanto meno sul vigore con cui l'ex punta di diamante della Best Sound ancora oggi calca i palchi di tutta Italia. Molte sono le critiche che gli sono state mosse, l'abbandono del circuito underground in nome del vile denaro, la produzione di singoli ultra commerciali del calibro di La mia ragazza mena (fortunatamente fuori scaletta), l'allontanamento dalle atmosfere più crude del periodo migliore degli Articolo 31 (tra Strade di Città e Nessuno, per intenderci). Fatto sta che, nonostante tutto, il cantante milanese è riuscito ad offrire uno spettacolo di tutto rispetto, magari un po' più “leggero” sotto il punto di vista artistico, ma che comunque non ha mancato di entusiasmare le migliaia di persone presenti. Con un po' di nostalgia dei vecchissimi tempi andati, al profumo di Il pifferaio magico e Non c'è rimedio, termina anche questa edizione del Meeting del Mare, con tutti i numeri dalla sua parte. Ormai sedicenne, il festival è a tutti gli effetti in corsa per diventare, finalmente, maturo. Con un ospite internazionale, forse? Alcuni rumors sembravano indicare questa direzione. Staremo a vedere.

 

A. Alfredo 'Alph' Capuano