Il bello della provincia. Dino Fumaretto allo Zena di Campagna

BOLLETTINO ROCK DALLA PROVINCIA

DINO FUMARETTO AL PUB ZENA DI CAMPAGNA

di ANGELO CARIELLO

Ritornare in provincia, dopo otto vissuti in una grande città, comporta per forza di cose una riduzione – di qualità e in quantità – della propria militanza rock. Pochi, pochissimi i concerti. E tanti, troppi i chilometri da macinare in auto per raggiungerli. Che vuoi farci? È la vita, è la crisi, è il prezzo alle stelle di un buco di camera in città, è la miseria dei quattro spiccioli con cui i padroni ti rimborsano il sangue che butti per loro. La provincia, dunque. Due le alternative. Se la prendi male, beh, non mancano certo gli alberi a cui stringere una corda e farla finita. Se la prendi bene, ne possono venir fuori storielle come questa.

Ci sono i Bisca a Campagna. L’ho saputo ch’era già tardi, ma non ho nessuna intenzione di perdermeli. L’affilata decadenza della loro asciutta poetica, la voce di Sergio Maglietta rauca fino al cuore rovente della rabbia, la potente profondità del suo sax “antifascista”, i labirintici riff della chitarra di Elio Manzo, i suoi accordi tirati a lucido... Ah! Quanto mi piacciono i Bisca! Sbrigo le mie faccenducole, carico la mia ragazza e via, si parte. In macchina gira Lo sperma del diavolo. Ah, che so v’nut a fa’ inta sta terra e inta sti vic? Che so v’nut a fa’? Pigio sull’acceleratore, siamo in ritardo. Macché! La solita ansia da provincialotto. Lo Zena è ancora semivuoto, c’è chi mangia, chi beve una birra, chi chiacchiera. Do un’occhiata nella saletta. Hanno già montato gli strumenti, è un buon segno, per lo meno non abbiamo sbagliato serata. Prendiamo da bere. C’è il concerto, vero?, chiedo al proprietario. Sì, mi risponde cordialmente, ma è ancora presto. Occhei. C’è da aspettare una buona mezz’oretta.

Lo Zena è un bel posto, c’è il The Best of dei NoBraino in sottofondo, il concerto è gratuito e l’attesa non pesa. Non fosse per le sigarette. Esco fuori a fumare. L’aria gelida che sale dal fiume Tenza addenta le mie ossa stanche. O forse è l’anima irrequieta di Giordano Bruno, che qui a Campagna ha celebrato la sua prima messa. Butto via la sigaretta a metà. Rientro e m’accorgo che si può fumare anche dentro. Allora, per ripicca, infilo quattro sigarette, una dopo l’altra. Ci siamo, sono le undici e mezza, dovrebbe cominciare. Ci spostiamo nella saletta. C’è ancora chi mangia, chi beve un’altra birra, chi chiacchiera. Ci sediamo sugli scalini. Osservo. Che strano, c’è una tastiera. Non ricordo un tastierista nella formazione live dei Bisca. Sarà che l’avranno aggiunta nell’ultimo album, a cui – lo confesso – non ho dedicato ancora la dovuta attenzione. A dirla tutta, non vedo neanche il sax. E quella non è una chitarra, dannata miopia, è un basso. E poi, dove sono Elio e Sergio? Possibile che non si siano ancora fatti vivi? Al posto loro, ecco tre tizi, mai visti prima. Prendono posto ai rispettivi strumenti. Saranno turnisti, mi dico. Il tastierista, a pensarci bene, ha una faccia nota, mi sembra di averlo già visto da qualche parte. Attacca a suonare. Il bassista gli va dietro. Il batterista scandisce il tempo. Avvolgente, niente male, davvero. Quattro giri ed entra la voce. Manco a dirlo, è del tastierista. Cosa c’è nel frigo non lo so, da tempo non lo apro, forse s’è creato un mondo. Mi ha già conquistato. Mi giro, negli occhi della mia ragazza c’è la stessa compiaciuta sorpresa dei miei. Mi sa che non sono i Bisca, mi dice sorridendo. Eh già, non sono i Bisca. Siamo gli interpreti di Dino Fumaretto, ammette il tastierista alla fine del primo pezzo. Dino Fumaretto!, penso, ma sì, quello di Venite assassini, uccidete l’efficienza del mondo! L’ho incrociato nelle mie traversate virtuali, ma dov’è finita la sua lunga barba? Barba o non barba, lui va avanti con la sua caleidoscopica vocalità e le sue melodie tanto spedite quanto ricercate. Fuck the world, Insonnia, Tu sei pazza, Una vacanza, Non ti emoziono più, armonica, violino, galli e fischi, non si fa mancare niente, ‘sto piccolo genio un po’ periodo sperimentale di Battiato e un po’ teatro canzone di Gaber. Le due tizie si sono alzate, ne approfittiamo, ci stravacchiamo sul divano. Non siamo più di dieci nella saletta ad ascoltarlo, in pratica sta suonando per noi. È il bello della provincia, ed io ho fatto bene a non impiccarmi. Anche Dino Fumaretto sembra gradire, va avanti per la sua strada di agitazione elettrica e paranoica calma, senza mai scomporsi, avete ascoltato Film dell’orrore, dice, avete ascoltato Venite assassini, Omicidio, Il nuovo che avanza, Mente spostata, Sono invecchiato di colpo, poi, a grande richiesta della cameriera, Buchi in città. Cede e concede anche il bis, ma non ditelo a nessuno che suono di nuovo gli stessi pezzi, dice.

Intanto, prima di tradirlo, andiamo a salutarlo. I dieci euro per il disco se li è meritati tutti. Mi congratulo con lui per come è riuscito a superare, con la sua formula surreale e a tratti dada, la strettoia della retorica, dello scrivere e cantare cose già scritte e cantate. Non è assolutamente cosa da poco. Ci prendi nel tuo gruppo?, gli chiedo, io so fare quattro accordi alla chitarra, lei ha una voce bellissima. Già in tre non ci tiriamo su una lira, risponde. Va bene, ci ho provato. Stasera non mi pesa l’essere dall’altro lato di una tastiera, di una chitarra, di un microfono.