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Chiedi alla polvere. Report del Neapolis Festival

Chiedi alla polvere dell'Acciaieria Sonora quali note sono rimaste nell'aria. Quali sono invece volate verso il mare, planate verso l'infinito. Se il rock non deve abbandonare le terre napoletane bisogna conservare il Neapolis Festival. Evento criticato, applaudito, affollato, disertato, amato, odiato, ma che va avanti da 20 anni tra alti e bassi, mentre Napoli affonda.

Ci sono passati i meglio nomi del rock mondiale, Cure, Rem, David Bowie per dirne alcuni e ci siamo passati noi, dalla polvere della prima Italsider ai sediolini del San Paolo, dalla comodità dell'Arena Flegrea alla spiaggia dell'Arenile, dalla fontana della Mostra, fino a tornare di fronte al mare, tra la polvere, questa volta dell'Acciaieria Sonora, location ri-nata quest'anno, suggestiva, panoramica, malinconica. Ma rock.

Ed il festival non è iniziato tra gli buoni auspici: prevendite basse, prezzi criticati, il forfait dei Marlene Kuntz (unica big italiana prevista nella line-up), le polemiche su Groupon e sulla pagina fb del Neapolis, che non stiamo a ripetere qui (ma potete leggere a questo link) riassumendo il tutto in poche parole: forse la città non è ancora pronta per un festival del genere, oppure come diceva qualcuno su Facebook, il Neapolis dovrebbe assumere i contorni di un festival indie rock con tutto il resto appresso e non contare su decine di migliaia di persone. Ma questa è un'altra storia, da discuterne più avanti.

La cronaca: 9 e 10 luglio ed il festival has appened: la polvere della spianata la calpesti appena esci dall'auto e non va più via. La location è più raccolta della Mostra D'Oltremare, meno profonda e con una gradinata fronte palco. Stand, birra, panini, palco Red Bull con le giovani band e un bel clima rendono le cose più facili (anche l'area stampa non era male, e qui ci siamo divertiti).

Le giovani band si esibiscono, purtroppo, davanti a poca gente convinta che i festival inizino alle 9 di sera. Metharia, RedRoom Dreamers (napoletani ma internazionali) e The Shak & Spears, nati dagli El-Ghor e vincitori del contest Destinazione Neapolis, autori di un rock folk inglese godibilissimo. Dopo i Park Avenue, chiamati dopo il forfait dei Marlene Kuntz, e dopo essersi goduti i nostrani Songs For Ulan, dall'Australia arrivano, per la prima volta a Napoli, gli Architecure in Helskini. Coloratissimi, lustrini e pailettes per l'occhialuta cantante Kellie Sutherland, un pop di intarsi elettronici, composizioni ardite ma spensierate. Il loro ultimo album non è stato entusiasmante (Moment Bends), ma sul palco hanno convinto e divertito i presenti. Era l'orario giusto per loro.

Architecure in Helsinki

Poi arrivano loro, la band scozzese che per molti era la vera headliner della serata: i Mogwai. "Hardcore never die but you will" è il loro ultimo lavoro, diverso dai capolavori precedenti come Mr. Beast e Cody. Ma loro riescono ad amalgamare i suoni, quasi come un gruppo prog: asciutti, onirici, sognanti, senza sbavature. Lente schitarrate ti sollevano, per poi tirarti giù con sbalzi improvvisi. Il post rock non esiste, esistono i Mogwai. Gente simpatica, peccato per quella partita di calcio che poteva farci felici ancora di più.

Mogwai

Verso le 23.30 i 5mila presenti accolgono a braccia aperte gli Skunk Anansie, assenti da Napoli da oltre 10 anni. La band inglese, che ha un ottimo rapporto con l'Italia (Skin è scesa da queste parti almeno un paio di volte con i suoi djset techno), porta in giro il suo ultimo lavoro Wonderlustre (non bellissimo per la verità) che ha segnato la loro reunion.  Vestita con una tutina nera sbrillucicantissima, la pantera Skin balza sul palco con un paio di ali da drago dorate, urlando "Yes It's Fucking Political" (sempre attualissima, oggi anche di più): molto energici e anche se la voce di Skin non è la stessa di 10 anni fa (ma sfido voi a 44 anni a saltare, urlare e camminare trasportata dalla folla senza un minimo affanno) il pubblico è tutto per loro. La scaletta predilige pezzi tirati come "On my hotel tv", "Charlie Big Potato" e addirittura ripescando "The Skank Heads". Anche le ballate come "Hedonism" e "Secretely" vengono eseguite con maggiore vigore che su disco.

La platea accoglie la nera cantante come una dea, tra le sue braccia, camminando tra (anzi sulla) gente mentre continua ad urlare nel microfono. Poi Hedonism, quella di just beacause you feel good, la conoscevano anche i sassi  in pratica. Poi l'auto riparte (non subito però, quella uscita ad imbuto dal parcheggio...) ed appoggio sul sedile posteriore la t-shirt dei Mogwai appena comprata.

Il secondo giorno, decido di partire ancora più presto, approfittando della pigrizia di una domenica di luglio rende la città più vivibile e meno trafficata.  Mentre percorro la suggestiva via Coroglio, tanta gente che si avvia al festival con buste piene di bottiglie di plastica e lattine. E' l'iniziativa "Differenziamo Napoli", che ha permesso a 1000 persone di entrare gratis: bastava essere accompagnati da un amico in possesso di regolare biglietto e portare 10 bottiglie di plastica o lattine di alluminio, fino alle 20.

Si riparte con un progetto che è già una realtà: Shirt vs T-Shirt, che uniscono rock ed elettronica, sempre sul palco della bevanda taurina, seguiti da When The Clouds e poi l'altra band vincitrice del contest Destinazione Neapolis (sul main stage però): i campani NewYork NewYork. Sembrano in 20 ma sono in due: chitarra elettrica e sequencer/basi, tra i Daft Punk di "Aerodynamic" ed il french touch con un tocco di cazzimma alla Chemical Brothers.

Quando il sole è ancora alto (in pratica si schiatta) il pubblico presente (poco) fa la conoscenza dei californiani Crocodiles. Rock and roll in pratica, sporchi e  raybanizzati, hanno studiato presso la Jesus And Mary Chain school. Dal loro esordio "Summer Of Hate" fino all'ultimo lavoro "Sleep Forever" è passato appena un anno, dove sono passati da sonorità shoegaze a beat 60's. Non originalissimi ma divertenti e ruvidi.

Nel mentre, si esibiscono sul bus i vincitori del Red Bull Contest, i Prime: milanesi, nati dalle ceneri dei The New Story, gruppo punk lombardo.

Appena vedo il piatto piazzato lì in alto mi fiondo sotto al palco a fare foto: i Battles,  super gruppo nato qualche anno fa, "dedito all'esplorazione di molteplici stili ed orizzonti musicali" citando Wikipedia. Super gruppo lo è, perchè è formato da Ian Williams (Don Caballero), Tyondai Braxton (che però ha lasciato la band nel 2011), David Konopka (Lynx) e John Stanier, ex Helmet e Tomahawk.

Li ho visti di recente al Primavera Sound (alle tre di notte davanti a 10 mila persone) ed a Barcellona hanno preferito impostare il loro set sull'ultimo lavoro "Gloss Drop". A Napoli invece hanno reso felici i fan suonando anche la celebre hit Atlas, nel loro solito mix di potenza e precisione, tra prog, funky, rock granitico, math. Rispetto ai vecchi live, ovviamente privati del cantante, è aumentato il numero di campionamenti, ma restano tra le band più originali e potenti del pianeta. Roba di classe che da queste parti si vede poco (e proprio i Battles furono ospiti di una vecchia edizione del Neapolis).

Intanto la gente finalmente si degna di scendere (non dalle gradinate ma da casa), e si inizia già a muovere il culetto con gli Hercules And Love Affair, due nerd dietro la consolle, vocalist colorati e en travestì ed uno scricciolo di femmina (Kim Ann Foxman).

 

 

Poi, siamo in 3mila, pochini (?) rispetto agli oltre 15 mila di Jamiroquai del 2010, ed il visual stage degli Underworld prende vita, riportandoci in una dimensione nineties, da techno-dance rotonda, spaziale e in led. Fanno ballare con una vena di malinconia, perchè il Neapolis è finito ma non solo l'edizione 2011. Forse l'intero festival. Potrebbe essere l'ultima edizione. E chiamatela crisi, chiamatela svogliatezza musicale dei napoletani, chiamatela come volete voi, ma questa è stata tra le migliori edizioni del Neapolis Festival. E se l'organizzazione viene criticata perchè è obbligata a chiamare anche nomi di richiamo e forse commerciali (vedi critiche mosse per Skunk Anansie, Jamiroquai, Santana, Subsonica ecct) lo fa perchè altrimenti si rischierebbe il disastro: poche persone a godersi i Mogwai o i Digitalism, Yann Tiersen o I'M From Barcellona.

Quindi bisogna ripartire seriamente da zero. Rimboccarsi le maniche, rischiando ancora. Fatelo perchè Napoli ha bisogno del Neapolis e viceversa.

Purtroppo chi non c'era ha preferito fare altro. Mangiare 'na pizza magari. Ma questo lo possiamo fare sempre.

Si ringrazia Hungry Promotion, Giulio, Daniele, Francesco e Antonio.

Luigi Ferraro

Commenti  

 
#2 Lorenzo 2011-07-18 20:45
Complimenti per l'articolo... è assolutamente vero, una delle migliori edizioni del Neapolis, come qualità e varietà, ma forse la scena "alternativa" di Napoli non merita tutto questo.
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#1 pete 2011-07-14 16:50
Bellissimo articolo complimenti!!
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