L'inferno di Federico Salvatore, solo andata


Recensione dell'ultimo lavoro di Federico Salvatore "Pulcin'hell"

Lucky Planets/Self

Capita così che per caso (e forzata volontà) uno festeggia il proprio compleanno in terra straniera con un regalo tanto atteso che arriva dalla sua Napoli. Con queste premesse inizio ad ascoltare il lavoro discografico del Maestro Federico Salvatore che mi incuriosisce fin da quando prendeva per il culo se stesso e gli altri e faceva il Gaber “e’ miez a via” negli anni 90. Poi si è messo per un attimo nei panni di San Gennaro all’inizio del decennio scorso e ha intrapreso un cammino che gli ha regalato meno popolarità, ma più Arte.

Oggi Federico è un cantautore che se fossimo stati negli anni 70 non avrebbe avuto difficoltà a ritagliarsi un posto in paradiso vicino a De Andre o al già citato Giorgio. Tuttavia mi domando perché mi faccio tutte queste premesse prima di parlarvi del disco? La risposta è che siamo tutti sudditi di “Puparuopolis” rassegnati all’acidità (cit.) che o cercano il divo usa e getta o il finto intellettualismo alternativo. E allora è giusto chiedersi, come fa lo stesso autore, chi sia la musa per ogni cosa che si produce o per meglio dire “chella vajassa d’a musa mia” nel “vico strafottenza” cosa suggerisce? La prima risposta è che Salvatore si è superato nella scrittura dei testi e più che nei lavori precedenti gioca sui doppi sensi e sulle parole stesse a partire dal titolo “Pulcin’Hell” ossia l’inferno di pulcinella. Toccante è ne “l’inno di papele” la frase “ a chi è muorto pe cchesta Unità voglio di na preghiera…” una riflessione sulla unità italiana mai realizzata nei fatti che alla fine si ritrova solo allo stadio…forse!!!

Chiaramente di stampo gaberiano, ma vista con gli occhi di un meridionale napoletano il tema si arricchisce di connotati che solo chi ama la storia e cerca la verità senza pregiudizio può apprezzare. Il disco va avanti e se ne scende con la pelle che fa invidia a un’oca quando parte la canzone “ Napocalisse” e la lacrima abbinata alla rabbia formano un connubio in chi ha dovuto lasciare la propria terra per colpa… insomma: Napoli e più in generale l’Italia. E allora prendiamo l’indirizzo de “O’ palazzo” e appariamo sto milione di sputazze (cit.). il disco scorre, scorre come un fiume in piena, l’acqua è pura e nostalgica! Frequenta “l’accademia e ll’ovo tost” a ritmo di “ tarantella all’acqua tosta” citando storia e attualità: “Stò ffore! Stò scassato! Stong’a rrota!”. La voce è una vibrazione continua esaltata da una musica semplice ed essenziale che come aghi di siringa iniettano spunti di riflessione per chi ama l’arte che dura e si conserva scansando la moda del mito di passaggio.

Federico Salvatore è una icona della musica napoletana che oggi canta “Dint’o scuro” all’ombra di riflettori che all’epoca lo portarono “Sulla porta” di Sanremo e qualcuno non apprezzò.

Che “Guallera” qualcuno esclamò all’epoca e oggi invece si ritrova un cantautore di vecchia scuola che non ha nulla da invidiare ai moderni. Mi domando, ancora, dopo aver ascoltato per la quarta volta in una mattinata, come sia possibile che molti esaltano certi pseudo intellettuali e non gratificano chi oggi un premio Tenco dovrebbe vincerlo a ogni uscita discografia? Allora accontentiamoci di una pizza sasiccia e “Free Ariel” . Io voto 8

Gesualdo Campana