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Abroad: rock dal mondo

I caschi gialli del rock casertano: The Fabbrica 2.0

recensione album: THE FABBRICA 2.0 SOGNI IN SCATOLA ISTRUZIONI PER L'USO

 

di Domenico Vastante

Lo chiamavano rock cantautoriale ed era quel genere musicale che ti trasmetteva schegge di pensiero intellettuali accompagnate da sonorità attraenti. Con il tempo tante sono state le metamorfosi tentate dai cultori di questo genere: i the Fabbrica 2.0 sono un semplice esempio di quanto sia importante fondere un messaggio vero e sincero con il calore musicale. Pensieri, aspirazioni, sentimenti e nostalgie: questo è il contenuto di “Sogni in scatola istruzioni per l’uso”, opera prima del trio casertano che ha voluto iniziare la propria carriera musicale con un lavoro che colpisse nel segno, anzi nel cuore di chi lo ascolta.

Questo è stato l’intento dei tre giovincelli, nati nella precarietà della provincia casertana, che vengono da esperienze musicali differenti ma che sono stati bravi a far della loro musica comune un suono compatto e stilisticamente pulito. Rock come matrice di un lavoro in cui tanti sono i tasti che vengono toccati. Quelli di un pianoforte che cavalca le onde della malinconica “Il sogno”, quelli del synth che apre “(Voci)la canzone delle (voci)” ed anche i tasti del distorsore schiacciati nella punkeggiante “Domani”. Uno è però il punto in comune che trascende in tutti i 9 brani dell’album: la malinconia. Ed è forse quel velo, esposto alla perfezione in “Sentenze” e nel ritornello de “La guerra dei civili”, a dare quel tocco in più all’album che merita di essere ascoltato.

Michele, Gennaro ed Eros ci hanno messo il cuore per far trasparire al meglio le loro sensazioni su un mondo che mai come ora sta attraversando tanti problemi, la cantata napoletana “Vita mij” ne è l’emblema; come gli operai di una fabbrica che si sono rotti il culo per l’evoluzione del mercato e che guardano attoniti al futuro con gli occhi nostalgici di un passato andato ma di un futuro da scoprire insieme, semmai con il sottofondo in versione strumentale di “Amirgal” che ti induce a riflettere. Sono 34 minuti e 37 secondi di vera musica che un buon appassionato non può perdere.

Un lavoro avaro di banalità che deve essere considerato un punto di partenza per il gruppo che ha tanti margini di miglioramento e che può fare grandi cose se rimane imperniato su quell’insieme di ingenuità e sincerità che è evidente nel loro dna. Ed il ritornello di “Credi” lo certifica con una frase che racchiude il pensiero dei nostri tre sognatori: io credo alle favole.

The Fabbrica 2.0 sono Michele Feniello: chitarra, voce e synth, Eros Merola: basso e Gennaro Amato: batteria e synth

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